Un giorno di pioggia in tribunale, poi l’Arcobaleno.
Un giorno di questi, tre amici dell’Arcobaleno, si sono trovati in una giornata piovosa, quasi per caso, in tribunale, ciascuno per un motivo diverso, ma per uno scopo, forse comune.
Questa la storia.
Il Giudice. Il Giudice è una giovane donna, il colore dell’Arcobaleno che rappresenta potrebbe essere chiaro, come i suoi occhi, magari il giallo, uno dei colori che stanno nella parte alta dell’Arcobaleno.
Fa il Giudice non di professione, ma per passione.
In verità aiuta gli altri giudici a capire come sono fatte, nella mente, le persone.
Capire le persone, entrare nella loro testa, è il suo mestiere, con questi strumenti, ha pensato di poter aiutare la Giustizia.
Come tutti gli amici dell’Arcobaleno pensa che un mondo migliore sia possibile, che ciascuno possa fare qualche cosa per cambiare, in meglio, questa nostra società.
Lei fa tante cose, per le donne maltrattate, sfruttate, per le vittime della tratta, dello sfruttamento lavorativo, le/li aiuta a ricostruirsi una vita, a cogliere l’occasione di una nuova possibilità.
A tutto questo ha pensato di aggiungere anche il ruolo di giudice.
Lavora al tribunale di Sorveglianza, quello che si occupa di “birboni” che hanno, o hanno avuto, a che fare con la Giustizia penale, in particolare con il carcere.
Quel giorno, con gli altri giudici, si doveva occupare di riabilitazioni, cioè stabilire se delle persone, che hanno commesso piccoli o grandi reati, hanno chiuso con un passato trasgressivo, se hanno “pagato” il debito che avevano contratto e possono stare, a pieno titolo, senza macchia, nella nostra società.
L’Avvocato. L’Avvocato è un uomo non più giovane, il colore che potrebbe rappresentare è uno di quelli che stanno nel mezzo dell’Arcobaleno, il verde o il blu, schiacciato tra i chiari e gli scuri.
Fa l’avvocato per scelta, dopo che tanti anni prima, all’Università, ha capito che la Legge non equivale alla Giustizia, e come un giudice sia costretto ad applicare una legge, anche se non l’approva, mentre un avvocato può scegliere da che parte stare.
Allora ha pensato che fare l’avvocato poteva essere un buon modo per fare Giustizia.
Usare il diritto in punta di fioretto per combattere le ingiustizia, per cancellare i soprusi, per tutelare i deboli, gli ultimi.
Un sognatore quell’Avvocato.
Come tutti gli amici dell’Arcobaleno, ha sempre pensato che un mondo migliore sia possibile, che una vera Giustizia sia possibile.
Adesso è un po’ stanco, un po’ disilluso, ha capito che non sempre lo straniero che scappa dal proprio Paese è un perseguitato, che non sempre il lavoratore è sfruttato, che non sempre la donna è vittima o il minore abusato, a volte la realtà ha più forme, non tutto è bianco o nero, e, spesso, è difficile stare da una parte o dall’altra.
Le spalle si sono un po’ piegate, la schiena incurvata, schiacciato, come il suo colore dell’Arcobaleno, dalle delusioni di una professione che non ha cambiato la vita a lui e, forse, nemmeno alle persone che ha incontrato.
Quel giorno, però, era in tribunale con l’ex Galeotto, ed era contento di essere lì, con lui.
L’ex Galeotto aveva fatto tanto, tutto da solo, nel male e nel bene, poi gli aveva chiesto aiuto per chiudere un cerchio cominciato tanti anni prima, e l’Avvocato aveva accettato d’istinto, perché l’ex Galeotto gli era simpatico.
Poi, l’Avvocato, leggendo le carte, parlando con l’ex Galeotto, aveva capito che c’era tanto di più, non solo una storia, una vicenda personale, ma un lungo, lunghissimo percorso, ed ora, l’ex Galeotto, aveva bisogno di un avvocato per finire quella lunga strada percorsa, senza inciampare o scivolare proprio all’ultimo.
L’ex Galeotto. L’ex Galeotto era giovane molto tempo fa, potrebbe essere il padre del Giudice e il fratello maggiore dell’Avvocato. Il suo colore dell’Arcobaleno è senza dubbio l’indaco, il più scuro, come i suoi occhi, quello che sostiene tutto l’Arcobaleno.
Anche lui, molto tempo fa, e allora non conosceva l’Arcobaleno, ha creduto che fosse possibile cambiare questa società e, con altre persone, ha tentato di farlo usando la forza, la violenza, contrapponendosi ad uno Stato che non riconosceva.
Ma lo Stato non voleva riconoscere neanche la sua esistenza, e quella dei suoi compagni.
Lo Stato lo ha però cercato, lo ha preso, lo ha punito, lo voleva cancellare, ma non ci è riuscito, anzi, ha ottenuto esattamente l’opposto.
Nei tanti anni passati a pensare l’ex Galeotto ha capito che un altro mondo, migliore, è possibile, e che si può ottenere senza la forza, senza la violenza, rispettando la vita e le opinioni altrui, anzi partendo proprio da lì.
Il carcere, per l’ex Galeotto, è stato come un lungo cammino, non sempre bello, non sempre buono, che lo ha portato a capire, amare e rispettare la vita, la propria e quella degli altri, come un bene supremo, prezioso, che nessuno può toccare.
Già dal carcere, e poi dopo, finita la pena, si è occupato del suo prossimo più e meglio di se stesso, a cominciare dai suoi compagni di carcere per proseguire con le persone meno fortunate, come gli ultimi dell’Arcobaleno.
Dunque aveva già chiuso, da tempo, con quel passato remoto, ma gli mancava l’ufficialità di quella chiusura.
Lui sapeva bene di avere chiuso, lo aveva dimostrato a se stesso, e alla società, con la sua opera, con il suo lavoro, ma ha pensato che quello Stato che non gli aveva riconosciuto le intenzioni del male, poteva almeno riconoscergli le intenzioni del bene.
Così l’ex Galeotto ha chiesto la riabilitazione, e quella mattina i tre amici dell’Arcobaleno si sono ritrovati in tribunale, il Giudice al banco dei giudici, l’Avvocato con l’ex Galeotto di fronte, il Procuratore Generale al loro fianco.
C’era poco da dire, da aggiungere, era già tutto scritto, dai Carabinieri, dagli Assistenti Sociali, la storia vecchia e, più importante, la storia nuova, neanche il Procuratore Generale si è opposto.
Uscendo dall’aula, sotto gli occhi del Giudice, l’Avvocato e l’ex Galeotto si sono abbracciati, l’Avvocato contento per essere stato utile, per il piccolo aiuto che aveva dato, con la schiena meno curva, l’ex Galeotto contento per aver concluso, ufficialmente, il suo lungo cammino.
Negli occhi scuri dell’ex Galeotto è passato un lampo, un fremito, un’emozione, forse ha sentito l’urlo delle sirene del porto della città dove tutto è cominciato, ha sentito riecheggiare gli spari, ha sentito il dolore, il suo e quello degli altri, poi il silenzio, il grande silenzio e, infine, la Pace.
Quando sono usciti dal tribunale - il Giudice, l’Avvocato, l’ex Galeotto - aveva smesso di piovere, ed era spuntato l’Arcobaleno.
Firenze, dicembre 2012 Luigi Mughini